In casa mia ho sempre sentito parlare di un passato contadino, ma non proprio secondo i canoni poetici che si immaginano quando si pensa a questo mondo: le famiglie dei miei genitori coltivavano la terra che apparteneva ad altre persone, abitavano cascine diroccate insieme ai loro animali, per Natale ricevevano in regalo sei mandarini… insomma, erano poveri, e l’essere contadini per loro non aveva nulla a che fare con la poesia del contatto con la natura.
La vera svolta della loro generazione è arrivata negli anni ’60: l’assunzione in una fabbrica per mio padre ha determinato l’accesso ad uno stile di vita nuovo e l’inclusione in un sistema di garanzie e diritti. La fabbrica dava a mio padre uno stipendio, gratificazioni, certezze, e gli faceva respirare anche un sacco di amianto, ma questa è un’altra storia.
Malgrado i miei genitori non fossero più tenuti ad abitare in luoghi poveri e lontani da tutto e potessero acquistare ogni cosa al supermercato, hanno sempre mantenuto il legame con le loro radici riservando una grossa fetta del nostro giardino ad un orto e ad un pollaio. Senza che nessuno me lo insegnasse, io ho imparato come si uccide una gallina (e anche un coniglio. Ormai l’ho detto, Mara lo so che mi odi), come si piantano i pomodori, come si bagnano le piantine, come si concima e come si semina.
Nel 2007 mi sono sposata e sono arrivata in questa casa, dove ho scoperto che avrei potuto usare un piccolo pezzo di terra come orto. Mio padre si era appena ammalato, ma quando gli ho proposto di aiutarmi a coltivare l’orto è stato felicissimo.
Quando le persone si ammalano come si è ammalato mio padre, spesso perdono interesse per le cose di ogni giorno, perché i loro pensieri sono orientati verso un orizzonte a tratti grigio e a tratti pieno di luce, che risucchia tutte le loro energie. Come puoi pensare alle cose del mondo quando il tuo stare nel mondo è messo in discussione? Eppure, io e mio padre parlavamo moltissimo dei miei pomodori, del tipo di insalata da piantare, del concime giusto per il tipo di terra, di come tagliare il sedano e conservare il prezzemolo per l’inverno.
Per 3 anni, il rituale è stato questo: si parte un sabato pomeriggio per comprare le piantine; dentro il negozio, sempre lo stesso, inizia la contrattazione: “Papà, quest’anno voglio piantare i meloni!” e lui: “No, prendi il sedano” . “Papà, prendiamo i peperoncini calabresi??” e lui: “No, prendi un altro basilico che due sono pochi”. “Uh papà guarda che bella questa piantina!!” e lui: “No”. Per tre anni ho tentato di convincerlo a piantarmi l’anguria, ma non ci sono mai riuscita.
Il giorno stesso iniziava la fase che io ho sempre amato di più: pulire la terra dalle radici, dai sassi e dalle foglie, vangarla smuovendola dal profondo, spezzare le zolle. Mio papà faceva il lavoro più pesante, io dietro di lui a raccogliere sassi e a spezzare le zolle con le mani… perché io amo l’odore della terra, amo il suo colore quando è bagnata e viva, adoro vedere i lombrichi svegliati dal loro sonno, mi piace sporcarmi di terra.
Quando l’orto era finalmente pulito e livellato, piantavamo e seminavamo, mettevamo i tutori a pomodori e peperoncini (perché alla fine almeno sui peperoncini la spuntavo) e poi trascorrevamo minuti interminabili a rimirare il nostro lavoro ben fatto e a fare ipotesi sulla quantità di pomodori che avrei raccolto.
E poi aspettavamo.
E aspettando che i pomodori crescessero mio padre mi prometteva, senza dirmelo, che sarebbe stato lì per vederli.
Parlarmi delle piante che avremmo seminato la primavera successiva era la sua promessa che sarebbe stato lì a farlo con me.
Quel piccolo pezzetto di terra per me significa tutto questo.
La salvia e il rosmarino che ha piantato lui, il mirtillo che ho comprato anche se lui non era molto d’accordo, la rucola piantata insieme che continua a crescere ogni anno. Lui che mi prende in giro perché “Ma dove vorrai andare con questo metro di terra scarso!”. Lui che prima di entrare in casa va a dare un’occhiata all’orto, stacca rametti e sistema foglie, per me. Lui affaticato e sofferente piegato sul mio orto.
Quest’anno sono tornata nello stesso negozio, ho visto le piantine di anguria e, come sempre, ho resistito e non le ho comprate… Il mio orto è ancora bellissimo, grazie a due aiutanti speciali: il fratello di mio papà e Elisabetta; il fratello di mio papà ha ereditato il lavoro pesante e “messo in bolla” i pomodori, mentre Elisabetta giocava, beveva tisane e mangiucchiava fazzoletti di carta sporchi di terra.
Io ho spezzato ancora le zolle con le mani annusando nell’aria il profumo di mio padre, il profumo delle mie radici che vengono sempre dallo stesso magico elemento: la terra.
La terra di mio padre,mia e di Elisabetta, anche se insieme noi tre non siamo mai stati, su questa terra.
giuppy